[GALLERY] Sentir Flamenco: un omaggio alla bata de cola

Foto: Nancy Aiello / Sevilla a Mi Manera

Vera e propria opera d’arte sartoriale, la bata de cola é uno dei simboli più sontuosi del flamenco. Tutti i più grandi designer del settore (e non solo!) vi ci sono cimentati negli anni, accettando una sfida d’aghi e tessuto tanto impegnativa quanto gratificante.
Perchè una cosa è certa: che si esibisca come capo gioiello al termine di una sfilata o accompagni i movimenti aggraziati di una ballerina su un tablao, la bata de cola lascia, e lascerà sempre, tutti senza parole. 


L’evoluzione di questo capo iconico si racconta oggi nell’esposizione “Sentir flamenco: Alegoría de la Bata de Cola, allestita fino al prossimo 2 Maggio nella suggestiva cornice del patio del Círculo Mercantil e Industrial di Siviglia.

Nancy di Sevilla a Mi Manera – ormai corrispondente ad honorem dal capoluogo andaluso – ci accompagna a visitarla virtualmente con queste meravigliose foto. 

Che dite? Vi va di fare un giro?


Bata de Cola di José Galvañ. Foto: Nancy Aiello di Sevilla a Mi Manera



Bata de Cola di Jose Valencia . Foto: Nancy Aiello di Sevilla a Mi Manera
 


Bata de Cola di Rosa Pedroche. Foto: Nancy Aiello di Sevilla a Mi Manera



Incorniciata dai mantones di Foronda, la mostra si inquadra nel contesto delle numerose iniziative promosse nella città della Feria de Abril con l’obiettivo di dare visibilità al settore della moda flamenca.

Il designer Javier García, socio dell’associazione Lunar Off che organizza l’esposizione, spiega bene perchè è necessario: “Stiamo vivendo momenti di grande cambiamento, e ci è sembrato interessante dare valore ad un capo rappresentativo della moda flamenca – e del flamenco in generale – che potremmo considerare quasi in pericolo di estinzione”. 

Il risultato è un campionario di 20 abiti, diversi per forma e tessuto, che si ispirano a, o ricreano fedelmente, l’estetica della bata de cola


Bata de Cola di Javier García. Foto: Nancy Aiello di Sevilla a Mi Manera

In realtà, le origini di questo indumento vanno ricercate al di fuori dal mondo dei volant… e addirittura fuori dalla Spagna! Con tutta probabilità i “nonni” della bata de cola sono, infatti, gli abiti di corte indossati dalle nobildonne francesi del XIX secolo, che si caratterizzavano per il lungo strascico: si portava raccolto su un lato e, quando si arrivava in un posto pulito, lo si scioglieva. 

Forse allora è iniziato tutto così: dalla necessità di mettersi a ballare con quello che si aveva addosso, trasformando l’impedimento di un abito importante in uno strumento con cui abbellire ed evidenziare i movimenti. Sia come sia, anche le bailaoras di flamenco iniziano ad indossare le batas nel diciannovesimo secolo, quando in Andalusia prendono piede  i café cantantes: saloni con tablao e sedie per un pubblico esigente, che bisognava a tutti i costi stupire. 

Nel ventesimo secolo la bata non è più una novità ed entra a far parte a tutti gli effetti del ballo flamenco. A renderla di moda sono soprattutto artiste come Pastora Imperio ed Antonia Mercé, anche se é stata Carmen Amaya ad usare una delle più spettacolari, lunga addirittura tre metri (la  lunghezza abituale varia tra i 150 e 175 centimetri)

Oggi la bata de cola si usa soprattutto in palos come alegrías, soleá o seguiriya. 



Pablo Retamero e Juanjo Bernal reinterpretano la bata de cola in chiave contemporanea, in un tripudio di pois dorati.


Alejandro Santizo è uno dei maestri indiscussi della Bata de Cola. La firma si caratterizza da sempre per l’uso massiccio del colore rosso, tanto che nel settore della moda flamenca si parla di “Rojo Santizo”. Questa bata, spettacolare, ha una lunghezza leggermente superiore alla media: 180 centimetri.

Bata de cola di Alejandro Santizo. Foto: Nancy Aiello di Sevilla a Mi Manera


Parte della collezione 2016 Azahara, questa bata di Florencio Perez si ispira all’amore di Abderraman III per Azahara. Il rosso rappresenta la forza, il potere, la passione. L’oro incarna la ricchezza del califfato e lo splendore dell’epoca.

[GALLERY] L’evoluzione dell’abito flamenco

FOTO: Nancy Aiello / Sevilla a Mi Manera

Il traje de flamenca è l’unico costume regionale spagnolo che si modifica nel tempo, subendo l’influenza delle mode e del contesto sociale in cui si inquadra. Lungi dal restare rilegata in qualche polveroso libro di storia, la sua evoluzione prende corpo e colore in una bellissima mostra allestita nella sede del Comune di Siviglia, dove si potrà visitare fino al prossimo 2 Maggio.

Per realizzarla, l’associazione Mof & Art si è basata sullo studio di materiale fotografico e pittorico legato alla Feria de Abril, accompagnando cimeli antichi (come peinetas, nacchere e abiti passati alla storia per le personalità di spicco che li hanno indossati – Lola Flores su tutti) con modelli che aspirano a reinterpretare nel modo più fedele possibile lo stile di ogni epoca.


Le due prestigiose batas de cola del designer Justo Salao: quella gialla fu indossata da Lola Flores all’expo del ’90, durante uno spettacolo nel padiglione italiano; Quella blu vestí la cantante Estrella Morente a un’opera presentata al Liceo di Barcellona e al Teatro della Maestranza di Siviglia.


Peinetas d’epoca




Nancy Aiello di Sevilla A Mi Manera ha visitato l’esposizione per noi e, come promesso, vi riportiamo tutte le foto in questo post. 

LE ORIGINI



Quello che oggi chiamiamo “traje de flamenca” nasce verso la metà del diciannovesimo secolo, quando aveva ancora molto in comune con gli abiti dipinti da Goya nei suoi ritratti. Per assistere alle fiere del bestiame (che comprendevano anche balli e festeggiamenti di ogni genere), le gitane e le donne di campagna indossavano abiti leggeri, che dovevano essere abbastanza comodi da adattarsi alla vita nomade e alle incombenze quotidiane. Le gonne erano quindi molto ampie, con uno o due volant al massimo, e si accompagnavano a foulard e orecchini che imitavano i coralli.

Per realizzarli venivano utilizzati tessuti poveri, venduti a basso costo… e proprio da lì vengono i pois, che oggi sono – assieme ai volant – il simbolo indiscusso della moda flamenca. La fantasia che tanto amiamo nacque infatti da un errore di stampa, e inizialmente godeva di pessima fama in quanto ricordava malattie come il morbillo. Per questo costava pochissimo e le classi meno abbienti (come, appunto, quelle delle gitane e delle campesine) potevano accedervi con maggior facilità.

Tra il 1870 e il 1909 le donne della borghesia cominciano anche loro ad assistere alla feria, che inizia a configurarsi sempre più come una festa popolare indipendente dalla compravendita di bestiame. Qui vengono conquistate dalla bellezza dell’abito indossato dalle gitane ed iniziano ad ordinarne di simili da indossare in quello specifico contesto. Naturalmente, la disponibilità economica era abbastanza diversa da quella delle contadine: ecco quindi che il traje de gitana si abbellisce con tessuti più raffinati e un maggior numero di volant, accompagnandosi a pettini di tartaruga, orecchini d’oro e corallo e gli immancabili Mantones de Manila, che iniziano a fare la loro comparsa sulla scena flamenca.

L’esposizione iberoamericana del 1929 segna un punto di inflessione nella storia dell’abito che tanto amiamo, che viene adottato in massa dalle donne delle classi alte (pois compresi), imponendosi a tutti gli effetti come costume regionale.

GLI ANNI ‘20




L’umile indumento contadino inizia a diventare qualcosa di molto più elaborato. Entrano in gioco l’organza e il batista (un tipo di tela finissima di lino),  e si iniziano ad utilizzare pettinini e fiori per l’acconciatura. Le donne accompagnano l’outfit con gli orecchini che utilizzano per le occasioni speciali, dal momento che non  esistono ancora quelli espressamente creati e pensati per la feria.


GLI ANNI 30



I caffè letterari ispirano le donne delle classi alte nella scelta dell’abito da indossare a quello che inizia ad essere un appuntamento imprescindibile per tutti i sivigliani. Percalle, lino, voile di cotone, nastri e merletti a tombolo entrano così nel traje de flamenca, che viene ormai indossato indistintamente da tutta le classi sociali.


GLI ANNI 40



Dopo la guerra civile che ha devastato (psicologicamente ed economicamente) la Spagna, Siviglia recupera finalmente la sua feria, sospesa per tre anni di fila. I tessuti tornano ad essere economici, e gli abiti da flamenca si cuciono a casa.
Le linee sono perciò essenziali, e sono gli accessori ad assumere il protagonismo: la plastica diventa la base per realizzare orecchini, bracciali, pettinini e collane che iniziano a ricordare quelli che tutt’oggi utilizziamo per la feria.

C’è chi dice che lo stile flamenco del dopoguerra ispirerà la moda flamenca del post Covid-19, dopo l’iniziale trionfo di colori, pailettes ed eccessi di ogni sorta che secondo tutte le  previsioni dominerà la prima vera feria dopo la pandemia – in linea con quanto stanno già proponendo i designer della moda “civile”. 

ANNI 50


La feria de Abril compie 100 anni e vive la sua epoca di massimo splendore. Le casetas iniziano ad essere decorate con cura, le carrozze trainate da cavalli circolano per le strade e la spensieratezza regna sovrana. Il traje de flamenca si riappropria dei volant, scommettendo sull’organza inamidata e i sottogonna ricamati.

ANNI 60



Si inquadra in questo decennio la trasformazione più importante subita dal traje de flamenca nel corso di tutta la sua storia: la lunghezza si accorcia al ginocchio, innovando completamente la silhouette. Inoltre, si incorporano i volant di piccole dimensioni e i sottogonna colorati.

É in questi anni che l’immaginario di toro, flamenco e donne vestite da flamenca inizia ad essere associato alla Spagna a livello internazionale. Icone fashion internazionali come Grace Kelly, Jackie Kennedy, Ava Garder o Rita Hayworth arrivano in Spagna e si vestono da flamenca, contribuendo alla diffusione dell’estetica del costume tipico andaluso in tutto il mondo. 

ANNI 70 

L’abito flamenco aderisce al corpo, stilizzando la figura femminile. Gli abiti tornano ad allungarsi fino alle caviglie e le maniche fino al polso. 




ANNI 80



Negli anni ‘80 si torna a guardare al passato e si recuperano i vestiti con pochi volant (due o tre). Tra i tessuti appare il terital e i merletti sintetici vivono il loro momento d’oro. É interessante notare, nei modelli esposti nella sede del Comune di Siviglia, il protagonismo assoluto delle maniche, che spostano l’attenzione sulla parte superiore del corpo come accade anche nella moda pret a porter dell’epoca (vi dicono niente le spalline imbottite?)


ANNI 90




La moda internazionale s’innamora del costume regionale andaluso e grandi firme come Jean Paul Gaultier o Dolce & Gabbana si ispirano alla moda flamenca per le loro creazioni.
É in questo decennio che nasce la prima passerella professionale dedicata al settore dei volant: SIMOF.

Potendo disporre finalmente di una “vetrina”  in cui esporre i loro lavori, i designer si vedono spronati a creare per la prima volta vere e proprie collezioni di moda flamenca, con un preciso filo conduttore estetico e concettuale. Il traje si inizia quindi a “pensare” di più, cercando l’innovazione e l’identità personale.

Le gonne perdono ampiezza e il punto vita scende, come nei pantaloni in voga all’epoca. Tra i tessuti, si impongono il georgette, il crochet e la garza, mentre orecchini e pettinini si decorano con frammenti di minerali e porcellana.


ANNI 2000

La moda flamenca diventa un’industria a tutti gli effetti, con designer specializzati, negozi dedicati, collezioni e tendenze annuali. Si inizia a parlare di “quello che va di moda quest’anno” per la feria e l’influenza della moda pret a porter si fa sempre più invasiva.

Iniziamo a vedere tagli asimmetrici, completi di giacca e gonna e innumerevoli innovazioni che tuttavia non dimenticano le origini e l’essenza del traje andaluso. Proprio come nella moda convenzionale, si utilizzano ormai tutti i tipi di tessuto e diventano fondamentali gli accessori, realizzati con materiale di qualità sempre migliore (dai cristalli all’oro e le pietre preziose)




DAL 2010 ALL’ATTUALITÁ

Ogni designer di moda flamenca adottano ciascuno uno stile proprio, e le possibilità di scelta per le clienti sono quasi illimitate. La crisi del 2008 colpisce duramente il settore, che però sopravvive grazie alla passione delle andaluse per il loro costume regionale – un segnale di speranza nei tempi difficili in cui ci troviamo a vivere.

Nell’ultimo decennio le passerelle di moda flamenca si sono moltiplicate, coinvolgendo non solo Siviglia ma tutte le principali città andaluse (da Jerez a Málaga e Granada). Come nel pret a porter, i social network hanno modificato – e continuano a modificare – le modalità di fruizione e i meccanismi di promozione dell’industria dei volant tra fashion films, blogger, influencer e sfilate virtuali.

Grazie ad Internet, il traje de flamenca si è ulteriormente diffuso in tutto il mondo, con canali dedicati che ne parlano in lingua inglese e (non serve dirlo) italiana 😉 




Modello: Flamenca Pol Nuñez


Modello: Pilar Vera

Modello: Sara De Benitez


Modello: Melisa Lozano

Modello: Maricruz

Modello: Maricarmen Cruz


Un capitolo a parte lo meritano i Mantones de Manila, che fanno parte del vestire quotidiano sin dal diciannovesimo secolo. Se i mantón ricamati di grande dimensione erano di uso esclusivo delle classi abbienti, il “mantoncillo” si configurò da subito come un’alternativa popolare ed accessibile, portandolo a consolidarsi, con il tempo, come accessorio imprescindibile dell’outfit per la feria.

Il vecchio mantón signorile, invece, é rimasto legato in modo pressoché esclusivo al contesto del baile.

Come curiositá, vale la pena segnalare che negli anni ‘60 il mantoncillo venne temporaneamente “abolito” e rimpiazzato da frange che venivano cucite direttamente sul vestito. Tornó peró di nuovo in voga nel decennio successivo, arrivando fino ai giorni nostri.



L’ispirazione flamenca nella moda internazionale

Foto: Moschino Y Olé, 2014 (editoriale con scatti di Lucia Giacani)

Chiedete a qualsiasi designer di pensare alla Spagna e immediatamente vi parlerà di pois, di frange, di volant. Il codice estetico del flamenco e del folklore andaluso si è radicato così tanto nella mentalità collettiva da essere diventato un vero e proprio simbolo di identità nazionale, capace di oltrepassare confini e far sognare in ogni angolo del globo. Sarebbe impossibile enumerare in un solo post tutti i casi in cui gli elementi caratteristici della moda flamenca sono finiti sulle passerelle internazionali, per evocare alla prima occhiata un preciso immaginario culturale. Possiamo però – questo sì- cercare di ricordare almeno alcuni tra i più imprescindibili, in un percorso storico che dagli anni ‘90 ci porta fino alle collezioni più attuali.

Vi va di intraprendere questo viaggio con noi?

I PIONIERI: JOHN GALLIANO E JEAN PAUL GAULTIER



Il punto di partenza non possono che essere i pionieri: nomi del calibro di Jean Paul Gaultier o Dior, quando fondava la sua essenza creativa sul genio di John Galliano. 

Nato a Gibilterra da genitori spagnoli, Galliano visitò in prima persona l’atelier della storica firma sivigliana Lina, per apprendere i segreti dei volant e trasferire al proprio universo artistico le intricate strutture che costituivano i meravigliosi abiti che in qualche modo facevano parte del suo stesso background culturale. Abiti, che avevano, del resto, conquistato e sedotto – tra le altre – icone intramontabili come Grace Kelly.

Non fu l’unico, negli anni, a chiedere a Lina di aprirgli le porte ai misteri della Moda Flamenca. Per l’atelier sivigliano sono passati anche  Alice Temperley e, più di recente (a Gennaio di quest’anno) il creativo inglese Jasper Conran

Galliano resta però uno dei casi più emblematici di appropriazione e rispettosa ricreazione dei codici estetici della moda flamenca a livello internazionale. Di fatto, andrebbe studiato anche per questo sui libri di scuola.



Elle France, Febbraio 1997. Abito di Christian Dior Haute Couture by John Galliano


Il risultato delle sue incursioni da Lina si apprezza soprattutto nella collezione Autunno/Inverno 2003, che non avrebbe sfigurato al SIMOF, e nelle proposte Haute Couture per l’autunno del 2007, dove modelle con tanto di mantilla e copricapi da torero ci riportano ad una Spagna da souvenir d’altri tempi.


Dior Couture A/W 2003. Foto: Vogue

Dior Couture A/W 2007. Foto: Vogue

Quanto a Gaultier, le ispirazioni flamenche hanno permeato le sue creazioni durante tutta la sua carriera e fino all’apoteosico addio all’Haute Couture con la collezione Primavera/Estate 2020, con cui ha celebrato – assieme alle sue muse –  le passioni e le ossessioni di 50 anni di attivitá. 

Indimenticabili la gonna rossa a rete presentata per la primavera del 2014, le contaminazioni gitane del 2000 e l’intera collezione che firmó per Hermés alla settimana della moda di Parigi per la primavera/estate 2011. 


Jean Paul Gaultier Couture, primavera 2014



Jean Paul Gaultier Couture, primavera/estate 2000


L’ELEGANZA FLAMENCA DI RALPH LAUREN


Un altro Grande Maestro della reinterpretazione dei codici flamenchi a livello mondiale é senza dubbio Ralph Lauren.

Esemplare in questo senso é stata la sua collezione per la Primavera/Estate 2013, con cui portò a New York le forme, i colori e gli accessori più tipici del folklore andaluso, adattandoli allo stile anni ‘40. Gonne a trapezio, pantaloni gessati, giacchine rubate ai toreri e abiti con maxivolant erano tra i capisaldi di una linea dai cromatismi quasi interamente giocati sul rosso, il bianco e il nero: i tre “Grandi Classici” della palette flamenca. Foulard, cappelli, pochette a forma di ventaglio e orecchini che avremmo indossato volentieri alla feria, andavano a completare il quadro per adeguare lo stile proprio di una ben definita area regionale alle esigenze dei contesti più raffinati.


Ralph Lauren, Primavera/Estate 2013


LE FLAMENCHE ITALIANE DI DOLCE & GABBANA



Se si parla di influenze flamenche nella moda internazionale non si puó, poi, non citare la meravigliosa collezione Primavera/Estate 2015 di Dolce&Gabbana, al contempo congedo e vetta più alta di un’operazione che in tanti hanno definito come “reinvenzione dello spanish folk”.


Dolce&Gabbana, Primavera/Estate 2015


Come afferma il fashion blog flamenco cayecruz.com, dopo quel punto non gli sarebbe rimasto che cimentarsi con la bata de cola, ed era ovvio che non l’avrebbero mai fatto: il grande merito del duo italiano sta, infatti, proprio nell’aver saputo cogliere l’essenza delle ferias andaluse ed adeguarla al gusto italiano, avendo sempre nel Pret a Porter la destinazione principale. A Dolce&Gabbana non è mai interessato conquistare teatri e tablao, quanto portare il tablao sulle strade nel nostro Paese – meglio ancora se fondendolo a tratti con le tradizioni del nostro Sud.

Quando gli stilisti presentarono in passerella la collezione in oggetto, si parlò, senza giri di parole, di  “flamenche italiane”. In realtà, però, il loro lavoro andava molto più in là, pescando a piene mani dal folklore andaluso più tradizionale. Capo iconico e che é rimasto nel tempo é la gonna a pois bianca e nera coi volant, elegantissima  abbinata al top nero, e protagonista di foto di street style bellissime con protagonista Lisa Grendene per le strade di Milano. Ricordiamo poi il sensuale – e prima di allora insolito –  abbinamento della giacca torera con gli short, la profusione di rosso e di garofani sulle fantasie degli abiti e i capi ispirati al Mantón de Manila.


Dolce&Gabbana, Primavera/Estate 2015



Lisa Grendene per Dolce&Gabbana



LA MINI FLAMENCA E LA SPAGNA SOGNATA DA MOSCHINO



Ai più attenti non sarà sfuggito il Moschino “Español” della Primavera/Estate 2020. Jeremy Scott ha portato infatti alla Milano Fashion Week una linea ispirata all’arte di Picasso, scegliendo Rosalía come accompagnamento musicale. I capi presentati in passerella non reinterpretavano però solo i grandi capolavori del Genio malagueño, ma anche la quotidianità in cui l’artista é nato e cresciuto. La sfilata ci ha regalato così la versione “mini”, innovativa  e sensualissima del più tradizionale traje da gitana: roba che avrebbe fatto impallidire Marisol.


Moschino Ready To Wear Primavera/Estate 2020 (foto: Vogue)

Non é stata certo la prima volta che Moschino ha preso il flamenco e le tradizioni spagnole come punto di riferimento. Basti pensare, a titolo di esempio, alla collezione tutta balze del 2014. La linea venne presentata sulla stampa tramite l’editoriale “Moschino y Olé”, interamente ambientato in un contesto tradizionale andaluso.






Editoriale “Moschino y Olé”, 2014, a cura della Fashion Editor Alba Melendo e Rory Rice con foto di Lucia Giacani.

SARAH JESSICA PARKER “TORERA” PER GUCCI


E, parlando di editoriali, come dimenticare la Sarah Jessica Parker Torera vestita Gucci da capo a piedi! Le foto furono pubblicate nel 2011 sul settimanale spagnolo S Moda e, come prevedibile, fecero subito il giro del globo. Tra giacche degne di un’arena e mantillas da Semana Santa, spiccava l’elegantissimo abito lungo con gonna semi-trasparente e corpetto di petali rossi che la firma italiana aveva disegnato prendendo a prestito i simboli e i colori del Sud spagnolo. Del resto, solo un anno prima persino le modelle di Victoria’s Secret avevano sfilato con enormi peinetas in testa…


Sarah Jessica Parker per S Moda (abito di Gucci) 

Tantissimi sono stati i servizi fotografici a tema andaluso firmati da Mario Testino per Vogue, che ospitavano capi di firme come Guy Laroche, Tom Ford, o Burberry. 


Mario Testino, La Vie en Pose, Vogue US Dicembre 2000



LE ISPIRAZIONI FLAMENCHE OGGI



Che il folklore andaluso sia una fonte d’ispirazione pressoché inesauribile per i designer di tutto il mondo, lo dimostrano anche le passerelle più recenti. Per la Primavera/Estate 2020, Dries Van Noten e Christian Lacroix hanno realizzato una collezione a quattro mani piena di pois e gonne “flamenche” fluttuanti. Se la visione minimalista di Van Noten sembrava, sulla carta, avere poco a che fare con la personalità esuberante di Lacroix, il risultato é stato invece spettacolare, dimostrando che l’unione degli opposti é spesso ciò che serve per trovare l’equilibrio.


Del resto,  le strizzate d’occhio all’universo iberico non sono una novità per Lacroix, che é stato – pure lui –  uno dei primissimi ad avere trasferito l’immaginario della feria su capi da indossare al di fuori delle feste popolari. 


Dries Van Noten e Christian Lacroix , Primavera/Estate 2020. Foto: Vogue



Impossibile non trovare, poi, qualche eco flamenco nelle fantasie a fiori e pois, nei volant e nei volumi esagerati proposti da Richard Quinn alle sfilate Autunno/Inverno 2020-21. Viste le premesse, c’é da aspettarsi un certo “condimento flamenco” anche alle prossime fashion week (e per molti, molti anni a venire). 


Richard Quinn, Autunno/Inverno 2020. Foto: Vogue